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11 Gennaio 2021Dieci anni senza Susana Chávez, la prima a urlare “ni una más”
Ricorrono il 6 gennaio i dieci anni dalla morte di Susana Chávez Castillo, poetessa e attivista messicana, ricordata soprattutto per la maternità del celebre motto femminista antiviolento
Sono passati dieci anni dalla morte di Susana Chávez, la poetessa messicana madre di celebri versi contro il femminicidio, soprattutto il notissimo: “ni una mujer menos, ni una muerta más” subito diventato il motto antiviolenza femminista “ni una más”, ovvero ‘non una (morta) di più’, usato dagli attivisti per manifestare contro il massacro delle donne a Juárez, sua città natale, e in tutto il mondo.
Manifestazione del 25.11.2019, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, a Città del Messico. Davanti al Palazzo delle Belle Arti, proprio nel cuore della città, c’è il “Ni una mas!”, un monumento permanente viola, chiamato anche Anti-monumento, in memoria delle donne assassinate in Messico e contro il femminicidio (foto di Thayne Tuason, da Wikimedia Commons).
La brutalità di un omicidio feroce
Il 6 gennaio 2011, Susana Chávez fu trovata uccisa e mutilata a soli 36 anni, nel suo quartiere natale, Cuauhtémoc, proprio quando la frase da lei usata come protesta contro i femminicidi nella città di Juárez, la città più violenta del Messico, era diventata uno dei simboli della lotta femminista. Come indegna conclusione dell’ennesimo delitto in un quartiere violento, il riconoscimento del corpo avvenne solo cinque giorni dopo.
La madre testimoniò che la figlia era uscita di casa il giorno prima per andare a trovare delle amiche e non era mai tornata. Probabilmente uccisa durante il tragitto, a poca distanza da casa, il suo cadavere è stato trovato il giorno dopo seminudo, con la testa avvolta in una borsa nera stretta al collo da nastro adesivo grigio e con una mano mozzata: un omicidio di una violenza inaudita.
I tre presunti assassini, tre diciassettenni, sono stati arrestati, ma sul movente la Commissione statale per i diritti umani (Cedh) e la Procura della repubblica locale divergono ancora oggi: la prima sostiene che sia stata strangolata dai ragazzi che hanno tentato di violentarla, mentre il procuratore locale, Carlos Manuel Salas, ha assicurato a un canale tv che la donna era uscita di casa ubriaca e si era diretta in un bar dove si trovavano i tre ragazzi, ubriachi e drogati, che hanno finito per ucciderla e sono stati arrestati in flagrante. La dichiarazione, enunciata come a far intendere che se la fosse cercata, fece insorgere le associazioni per i diritti umani. Di certo c’è che le autorità dello stato hanno tentato in ogni modo di slegare il movente dell’assassinio della donna alla sua militanza contro la violenza di genere.
“Nello stato di Chihuahua quest’anno sono state barbaramente uccise 446 tra donne e bambine, un record che chiaramente indica quanto le violenze e i femminicidi in questo posto siano in aumento senza che nulla, tranne gli sforzi e le denunce delle donne stesse, cerchino di fermare e intervenire su questo sterminio. La cifra più alta a Ciudad Juarez” avevano reso noto i media pochi giorni prima.
Le indagini inadeguate e la versione delle autorità
Le autorità, tra l’altro, hanno consegnato alla famiglia il corpo di Susana Chávez solo cinque giorni dopo il ritrovamento. Perché? si domandano in molti. La versione che la questura di Chihuahua afferma ancora con forza è che la donna sia stata uccisa dai tre giovani con cui è uscita a bere. Le autorità sostengono che Susana avrebbe deciso di andare a casa di uno di loro: lì avrebbero litigato e i giovani allora avrebbero deciso di ucciderla.
I presunti assassini sarebbero Sergio Rubén Cárdenas de la O detto “El Balatas”, Aarón Roberto Acevedo Martínez detto “El Pelón” e Carlos Gibrán Ramírez Muñóz detto “El Pollo”. La loro deposizione riferisce che la giovane avrebbe affermato di essere una poliziotta e che li avrebbe denunciati in quanto membri di una banda, per questo l’avrebbero messa dentro la doccia e asfissiata. Poi le avrebbero amputato una mano con una sega per farlo sembrare il tipico omicidio della delinquenza organizzata.
La questura ha scartato l’ipotesi che ci fossero delle prove di violenza sessuale, ma in teoria quello sarebbe stato uno dei motivi dell’aggressione. La Chávez, attivista impegnata fin da ragazzina contro la violenza di genere, non era tanto ingenua da andare a bere da sola con tre sconosciuti, né aveva motivo di mentire affermando di essere una poliziotta e di volerli denunciare.
A gettare ombre su tutta l’indagine c’è anche il fatto che l’autorità di Chihuahua non è stata capace di risolvere neanche uno dei 13 casi di omicidio di attivisti sociali assassinati in un anno, di cui tre donne. Una di loro, Marisela Escobedo, era stata assassinata il dicembre precedente, mentre si trovava davanti al Palazzo di giustizia, dove si era recata un’ennesima volta per protestare contro i tre giudici che avevano assolto un giovane che, nel 2008, aveva ucciso sua figlia.
La questura si difende e argomenta che Susana non era più in contatto con le organizzazioni non governative che denunciano violazioni dei diritti umani, ma il suo impegno non è cessato fino alla sua morte. Lo provano video e le pagine del suo blog. Di certo non meritava di morire così, né lei né nessun’altra.
Concordano con questa diffidenza Amnesty International, che ha richiesto un’investigazione approfondita, e la Commissione Nazionale dei Diritti Umani, che ha aperto un’inchiesta. Le ONG e i collettivi di donne tengono vivo il suo ricordo, ricordando che il silenzio rende complici e urlando ancora “ni una más”.
Dalla marcia del 8 Marzo 2020 a Città del Messico (foto di David García Montero, da Wikimedia Commons).
Il commiato della madre
Una chitarra le diede il commiato al cimitero, mentre sua madre le metteva un foglio nella bara.
Là brillano neri i versi che Susana Chávez stessa scrisse in onore di una morta di Ciudad Juárez: “Sangue mio, sangue di alba”.
Sangue mio,
sangue di alba,
di luna tagliata a metà
del silenzio.
della roccia morta,
di donna in un letto,
che salta nel vuoto,
Aperta alla pazzia.
Sangue chiaro e nitido,
fertile e seme,
Sangue che si muove incomprensibile,
Sangue liberazione di se stesso,
Sangue fiume dei miei canti,
Mare dei miei abissi.
Sangue istante nel quale nasco sofferente,
Nutrita dalla mia ultima presenza.
Una vita animata dall’impegno e dell’amore per la scrittura
Susana Chávez aveva iniziato a scrivere poesie da bambina, partecipando da subito a festival e offrendo letture pubbliche dei suoi versi nel corso delle manifestazioni per le donne scomparse e assassinate. Laureata in psicologia, al momento della morte stava lavorando a una silloge poetica e scriveva sul suo blog Primera Tormenta, dove denunciava le ingiustizie contro le donne di cui veniva a conoscenza. Pubblicava anche su riviste e quotidiani e partecipò come modella alla copertina promozionale del film 16 en la lista, il cui soggetto aveva per tema i femminicidi.
La Chávez dichiarò il suo ultimo pensiero: “Ho provato dolore prima che si acuisse tutta la violenza che stiamo vivendo tutti noi abitanti di questa mia città natale, Ciudad Juárez. Ma adesso provo una sensazione di vuoto, abbandono e impotenza, suppongo come molti altri. Immaginare un miglioramento per quanto mi riguarda è difficile, ma nutro ancora delle speranze perché sono una donna di fede. Viva Città Juárez!”
Della giovane poetessa, ci resta lo straordinario coraggio di denunciare mettendo a rischio la sua vita e i suoi versi, raccolti nel blog: https://primeratormenta.blogspot.com e nella silloge edita da Gwynplaine nella collana Red, Primera tormenta. Non una di meno, non una morta in più. In questo libro, per la prima volta in Italia, vengono stampate le poesie di Susana Chávez. In quarta di copertina si legge: “in un mondo assalito da un lato dalla spettacolarizzazione della violenza e dall’altro dall’oblio in cui tutto cade dopo pochi giorni nella rete, ricordare Susana è un atto rivoluzionario: con lei la poesia ritrova la sua funzione di avanguardia e ci indica una strada di militanza che insieme dobbiamo percorrere”.
L’assassinio di Susana Chávez è la radiografia della mascolinità tossica, quella che offende, ferisce, aggredisce e divide la società.
Ricordiamo che ogni tre giorni, soltanto in Italia, una donna viene uccisa. A ogni telegiornale sentiamo frasi dolorose, che tendono a incolpare le donne stesse o a decolpevolizzare gli assassini, legittimando quanto accaduto. Tutti possiamo far qualcosa: aiutare, sensibilizzare, diffondere.
NON UNA DI MENO.
(Monia Rota)