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Una Puglia di qualche decennio fa, un paesino di provincia dove la vita va avanti con lentezza, seguendo le regole non scritte che gestiscono alcune realtà rurali. Scarmacio ha provato a raccontare la difficile vita nella Puglia degli anni Cinquanta mettendo in evidenza le criticità che ne instradavano alcune dinamiche: il potere dei proprietari terrieri in combutta con i caporali che gestiscono il lavoro nei campi decidendo unilateralmente quanto pagare ai braccianti, l’omertà dei più aggravata dalla consapevolezza che il caporale, in odor di mafia, è un surrogato della presenza dello Stato. «Quando sei stato male chi ti ha aiutato?», chiede il capo al bracciante che fa notare quanto sia poco proporzionato il suo guadagno.
Un racconto che si trascina lento, come la vita di campagna
Scamarcio corrobora con alcuni chiari dialoghi e altrettanti primissimi piani esageratamente esaustivi certi momenti, la scelta però si rivela a volte superflua o addirittura stucchevole. Il racconto continua lento e in maniera poco convincente, scene simili si susseguono, così come le inquadrature di scorci del paese e paesaggi tipici pugliesi: uliveti, distesi campi pianeggianti e via discorrendo. Con fatica si prosegue la visione di un film che pare promettere qualcosa, dove Scamarcio interpreta il personaggio principale, Ciccio Paradiso, giovane uomo che prova a mettere in discussione le regole di un mondo arcaico e a farsi portavoce di una sollevazione dei braccianti, facendo risuonare la propria voce nel contesto popolare ma riscuotendo pochi consensi, insufficienti a rivoluzionare il sistema.
Attenzione: spoiler!
Un’attrazione fatale tra il contadino ribelle e la figlia del possidente terriero
Al centro della trama c’è la storia d’amore (?) tra Ciccio e Bianca (interpretata da Gaia Bermani Amaral), figlia di Cumpà Schettino (Antonio Gerardi), un proprietario terriero che fa affari grazie al fratello, ricco caporale che si fa vedere in paese soltanto per riscuotere gli introiti del lavoro sottopagato dei braccianti. Tra Bianca e Ciccio accade qualcosa che Scamarcio prova, senza successo, a descriverci come amore, ma che in sintesi è solo forte attrazione. Ciccio, che nella giovane donna trova ristoro sessuale e rinvigorimento, è comunque sposato e padre di un bambino piccolo, oltre a essere un fedifrago abituale. Cosa faccia sbocciare l’amore tra gli ulivi non è ben chiaro. Il personaggio di Bianca appare semplificato al punto tale da farlo assomigliare a una maschera: al contrario della sorella – donna di casa che ha raggiunto la pace dei sensi – pare avere sogni d’amore puro e romantico ma, nonostante questo, non rifiuta la corte di un uomo sposato. Lui la rassicura dicendo che, in fondo, è un brav’uomo e che vuole bene alla moglie, ma lei è “un’altra cosa”. I dialoghi sono ridotti all’essenziale e piuttosto soporiferi. L’attenzione viene tenuta viva grazie a un escamotage, quello del canto dei grilli.
L’atmosfera naturale e la bellezza dei luoghi come surrogati di una trama scialba
Nel momento in cui si inizia a sentire il frinire in sottofondo, in qualsiasi scena, l’inconscio dello spettatore viene trasportato lì, nei luoghi narrati. In quell’istante chi, come la sottoscritta, ha avuto la fortuna di visitare la Puglia, accosta a tale suono i campi, gli uliveti, l’estate… è come una coccola sensoriale che serve a tenere viva l’attenzione e la voglia di assistere al seguito. Improvvisamente una scena disruptive, di forte impatto, sembra animare il film. Cosa succederà dopo? C’è un senso a tutto ciò a cui abbiamo assistito finora? Quali altri personaggi prenderanno piede?
Un senso incompiuto unito a speranze vane
Tutte queste domande, però, restano sospese e la storia riprende il suo corso. Non solo monotonia ma anche déjà vu, scene poco chiare, momenti confusi in cui viene da chiedersi: cosa sta succedendo, e perché? Scamarcio sembra sbagliare tempi e modi: quando c’è da chiarire un concetto non lo fa e affida la narrazione a sguardi eloquenti e immagini; quando tutto è lampante e il margine di confusione è pari a zero, invece, precisa con parole superflue che sembrano tratte da un dizionario.
Un progetto troppo ambizioso con un risultato poco convincente
L’ambizione di raccontare una realtà complessa come quella del sud Italia, un mondo arcaico tenuto insieme da omertà e valori familiari dove l’onore e la vendetta hanno la meglio, dove tutto è permesso a patto che sia ben nascosto, è molto alta; e Scamarcio non si rivela, purtroppo, all’altezza del progetto. Il punto più basso si tocca quando entra nella storia il fratello di Ciccio, anch’esso interpretato da Scamarcio, che appare come sospeso. Sarebbe stato interessante affrontare il percorso personale di Antonio, sapere come mai aveva lasciato la sua terra e quali erano i motivi che non lo avevano più fatto tornare. Antonio ha una relazione con una donna che, come Bianca, non ha una sua personalità. Anch’essa appare una caricatura di un “certo tipo di donna”: troppo, davvero troppo poco per poter delineare un personaggio, per poter fare in modo che chi segua entri appieno nella storia.
Storie abbozzate, caricature e finali sospesi
A un certo punto tutto si sgretola, senza senso apparente. Bianca diventa il perno di una storia che non c’è più, di cui si è perso il filo. La ragazza non riesce a trovare un proprio posto nel mondo, rimpiange il suo amore perso ma, al contempo, sembra nutrire ancora speranze verso la vita. È l’emblema della donna passionale, bella a tal punto da apparire divina (de gustibus…) ma che non trova altro modo di andare avanti se non affidandosi alla buona sorte. Forse Scamarcio ha tentato la strada del “finale aperto” in voga in un certo tipo di cinema, non dimostrandosi però all’altezza della scelta fatta e lasciando troppo a intendere. Il frinire dei grilli può funzionare fino a un certo punto: poi deve – assolutamente – subentrare la storia. E la storia deve essere chiara, non abbozzata.
Certe scene risultano ostiche, totalmente incomprensibili. Taluni personaggi non sono altro che macchiette. Una rivelazione finale ha il sapore stantìo delle telenovelas sudamericane in voga negli anni Ottanta, e non fa che aumentare l’insofferenza del malaugurato spettatore che ha voluto dare una chance all’attore pugliese.
Scamarcio in passato è stato sopravvalutato come attore. L’avventura come regista poteva essere un riscatto, invece è stata l’ennesima conferma di quanto la fama abbia gonfiato il successo di un attore mediocre che si è rivelato un regista dello stesso livello.
Daniela Piras