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13 Gennaio 2021Fabrizio “Faber” De André: l’anniversario della morte di un “immortale”
L’11 Gennaio di ventidue anni fa, moriva a Milano, a soli 59 anni, Fabrizio De André. Faber, così soprannominato dall’amico d’infanzia Paolo Villaggio per la sua passione per il disegno.
Fernanda Pivano, autrice e traduttrice dei grandi autori americani che negli anni Sessanta iniziarono ad arrivare in Italia, sosteneva che De André non fosse il Bob Dylan italiano, ma che piuttosto fosse Bob Dylan a essere il De André americano.
Al di là della provocazione, l’intervento della scrittrice contiene una verità indubbia: Faber ha raccontato il nostro Paese e le sue contraddizioni, con la stessa lucidità e il medesimo slancio poetico del grande Premio Nobel americano. E questo avvenne nonostante un’apparente discrepanza fra i testi del cantautore e gli avvenimenti che accompagnarono la storia italiana più recente.
Fabrizio De André è stato per l’Italia molto più di un semplice cantautore.
Quando nel 1970 uscì l’album La Buona Novella, le tensioni politiche e sociali erano al culmine, gli ideali del ’68 si erano infranti. Il 12 dicembre del 1969, data dell’attentato milanese di piazza Fontana, fu un duro colpo al cuore della democrazia italiana, aggravato dai depistaggi e dai misteri che ne caratterizzarono le indagini. Fu solo il primo di una lunga serie.
Chi era, politicamente, Fabrizio De André?
De André era un anarchico, del tutto slegato da qualsiasi forma di organizzazione politica, ma orientato di certo verso la sinistra. Dopo la Strage gli anarchici furono i primi a essere sospettati e lo stesso cantautore, allora studente fuori corso alla facoltà di giurisprudenza di Milano, fu indagato dalla questura del capoluogo lombardo, proprio in concomitanza con la pubblicazione di un disco che sembrava c’entrare poco o niente con il clima di tensione che andava via via sviluppandosi nel nuovo decennio.

È davvero anacronistica l’opera di De André?
La Buona Novella è un concept album che racconta la storia di Cristo rivista attraverso lo studio dei Vangeli Apocrifi.
Secondo le parole dello stesso Faber, molte persone a lui vicino lo accusarono di anacronismo. Non riuscivano a trovare un nesso tra le vicende di Gesù e il periodo che stavano vivendo, caratterizzato da scontri sia fisici sia verbali contro gli abusi di un autoritarismo sempre più stringente. Insomma, che cosa accomunava La Buona Novella e le proteste, a volte sanguinose, che animavano le piazze? Che rapporto c’era tra il figlio dell’uomo e lo studente che si lasciava massacrare sotto l’azione del manganello e il fumo dei lacrimogeni?
La risposta starebbe nell’apparente sovratemporalità dei testi del cantautore genovese. Quel che viene percepito come anacronistico potrebbe essere il tentativo di raccontare l’uomo al di là del contesto temporale a cui appartiene. E questo anche attraverso la scelta di epoche storiche e di riferimenti non immediatamente rapportabili ai temi più attuali, come alcuni testi di George Brassens, ambientati in un lontano Medioevo francese, canzoni mai politiche in senso stretto, ma sempre attualizzabili al di là della metafora o dei filtri della storia.
De André racconta l’attualità e al centro c’è l’uomo
In De André prima di tutto c’è l’uomo, l’emarginato. Poco importa se sia l’assassino per caso di un tempo remoto de La ballata di Miché o la prostituta disincantata degli anni Cinquanta narrata in Via del Campo. In questo senso, le canzoni di De André non possono essere definite impegnate, almeno non nel senso che veniva dato al termine tra gli anni Sessanta e Settanta del Novecento.
In fondo, chi era il Cristo se non l’uomo che lotta contro l’abuso di potere e l’autoritarismo? Non c’è poi tutta questa differenza tra il ladro Tito inchiodato sulla croce, “nella pietà che non cede al rancore”, e il sessantottino malmenato brutalmente dalle forze dell’ordine.

La musica di De André è una musica “senza tempo”
La lotta contro il potere caratterizza da sempre il percorso dell’uomo, per cui non può essere strumentalizzata, diventare esclusiva di un movimento politico. Scegliere di raccontarla attraverso un’allegoria, un’epoca altra, o una dimensione perduta, le conferisce un aspetto altamente simbolico, al di là di un tempo e di uno spazio ben definiti.
Ecco perché, ancora oggi, ascoltare De André non ci appare datato. Storia di un impiegato, La Buona Novella e altri album significativi possono benissimo raccontare l’attualità in cui siamo immersi: la spinta verso il populismo, gli scontri razziali e la pericolosa deriva xenofoba a cui assistiamo ogni giorno.
(Laura Scaramozzino)