Libri e viaggi, tra correlazioni ed esplorazioni
29 Gennaio 2021Chi era Jacques Prévert? L’anticonformista per cui tutto era Poesia!
3 Febbraio 2021Il caso Bridgerton: Netflix contro i siti hot che infrangono i copyright
Le piattaforme gratuite di scene hot contengono spesso contenuti che infrangono i copyright di chi li ha prodotti, come quelli della serie Bridgerton, distribuita da Netflix.
Recentemente, è stato reso noto che Netflix intende prendere provvedimenti legali contro i tube sites di materiale pornografico che hanno iniziato a offrire in visione al proprio pubblico sequenze particolarmente hot dalla serie Bridgerton, tratta dall’omonima saga di romanzi di Julia Quinn. Di questa situazione, però, si devono mettere in luce vari aspetti distinti, sebbene interconnessi, che non riguardano solo il caso specifico diBridgerton e dei tube sites (così chiamati perché imitano il formato di YouTube). Scopriremo che le ramificazioni di questo contrasto sono più estese di quanto si creda.
Cosa è il copyright? Partiamo dall’aspetto legale
Bridgerton, come tutte le serie televisive e tutti i film, è coperto da copyright. I prodotti audiovisivi sono cioè proprietà delle persone e delle aziende che hanno investito denaro affinché fossero realizzati e che devono capitalizzare quegli investimenti vendendo agli esercenti cinematografici e/o ai canali televisivi (tradizionali, via cavo o via streaming) il diritto di trasmetterli e di guadagnare a loro volta dagli inserzionisti pubblicitari, che vogliono vedere reclamizzati i loro prodotti durante la messa in onda di quei film o serial. Nel momento in cui sequenze intere tratte da titoli di successo vengono piratate e offerte gratis al pubblico, il copyright viene infranto e le case di produzione hanno ogni diritto di rivalersi sui tube sites e di pretendere la rimozione di quei contenuti.
Copyright e porno: i siti hot sono stracolmi di materiale tratto da film e serie tv protetto da copyright
C’è inoltre il tabù che avvolge l’industria della pornografia, lo stigma che colpisce i professionisti che lavorano nel suo ambito. Trattandosi di un settore soggetto al biasimo sociale, per attori e attrici inseriti nell’industria cinematografica tradizionale l’idea di essere associati alle star del porno (in quanto si ritrovano presenti sulle medesime piattaforme) è inaccettabile e imbarazzante. Inoltre, il problema è venuto a galla adesso perché Netflix lo ha messo in evidenza, ma non è affatto nuovo: i tube sites sono stracolmi di materiale tratto da film e serie tv di successo, recenti e meno recenti (dal Trono di Spade a Shameless, da Carnival Row a Queer as Folk). L’anno scorso, una controversia simile aveva riguardato una selezione di scene hot tratte da Normal People, per una ventina di minuti complessivi, che solo dopo le proteste ufficiali della BBC e di Hulu era stata rimossa da PornHub, ma pare circoli ancora su piattaforme meno note.
I protagonisti di Bridgerton, e non solo, imbarazzati per essere finiti su dei siti hot
Sta di fatto, però, che le scene piccanti rimangono quelle, al di là che vengano trasmesse su un canale televisivo o su un sito porno; e gli interpreti si sono pur sempre resi disponibili a girarle. Quindi l’imbarazzo e il pudore sono sopportabili se il contesto è quello di una produzione “nobile”, ma tornano con prepotenza se la cornice è quella di un tube site? Le dichiarazioni di personaggi come Orlando Bloom ed Emilia Clarke, che hanno spiegato come per loro sia stato difficile girare scene di nudo o di sesso abbastanza esplicito (lui in Carnival Row, lei nel Trono di Spade), acquisiscono un significato diverso a seconda del supporto su cui le rispettive serie tv vengono mandate in onda?

Sì, inutile negarlo, la cornice ha una sua influenza. È lo stesso principio per cui le copertine dei libri vengono realizzate con criteri diversi a seconda del genere a cui i libri appartengono, o per cui un libro con una decisa componente sentimentale, se attribuito a uno scrittore diventa semplicemente un libro attraversato da una forte sensibilità, se attribuito a una scrittrice finisce automaticamente nella “letteratura al femminile”. Comprensibile quindi che Regé-Jean Page e Phoebe Dynevor, gli interpreti di Bridgerton, sentano un profondo disagio davanti a questo uso del loro lavoro.
I tube sites non sono veri e propri siti hot
Manca però, fra queste considerazioni, un dettaglio che sposta il focus della vicenda (e le sue conseguenze) dal porno generalmente inteso agli specifici siti di cui si parlava. È probabile che, in realtà, il nemico non sia l’industria del porno con cui si rischia di essere “confusi” (e se il rischio di questa confusione esiste, forse esiste a monte, e l’uso di scene piccanti nelle serie tv di recente produzione, talvolta girate solo per creare hype, andrebbe ripensato). Il nemico sono i tube sites, che però non sono “siti porno” nel senso tecnico del termine, cioè non distribuiscono materiale che hanno prodotto: sono meri aggregatori. Ovvero, raccolgono clip e video (grazie alla collaborazione di utenti sparsi per il mondo), li accorpano per categorie e li mettono gratuitamente a disposizione del pubblico, guadagnando grazie alle pubblicità. Le case di produzione dei filmati percepiscono una piccola percentuale rispetto al guadagno del sito aggregatore, e spesso nemmeno quello, perché anche le sequenze tratte da film effettivamente pornografici talvolta sono piratate e distribuite senza il consenso dei diretti interessati.
Il “mercato” dei siti hot
C’è poi un ulteriore elemento a complicare le cose: la stragrande maggioranza dei tube sites appartiene a una sola, grande multinazionale chiamata MindGeek, con sede a Montreal, che secondo un’inchiesta del Financial Times dello scorso dicembre farebbe capo (grazie al classico sistema a scatole cinesi di società partecipate) a un uomo d’affari di nome Bernard Bergemar. Il dominio quasi monopolistico di MindGeek è la conseguenza di un percorso durato nemmeno dieci anni. Fino al 2013, diversi tube sites erano di proprietà di Fabian Thylmann, un imprenditore tedesco che con quei siti si era costruito una fortuna. Caduto poi in disgrazia a seguito di una pesante indagine per frode fiscale, aveva venduto tutto appunto a MindGeek (all’epoca proprietà di due soci, Feras Antoon and David Tassillo), che ha poi ampliato il suo parco web con l’acquisizione di altri aggregatori. Il risultato è che di MindGeek fanno parte YouPorn, RedTube, PornHub, Tube8, XTube, ExtremeTube e altri ancora. Sfuggono al suo controllo pochi concorrenti, i più noti dei quali sono xHamster e Xvideos.

Nel momento in cui i flussi di denaro legati alla pornografia si sono spostati dalle aziende produttrici (con relativa catena di distribuzione) ai siti aggregatori, le prime hanno finito per trovarsi in difficoltà: moltissime hanno chiuso, altre hanno ridotto i budget, altre (per esempio Brazzers, Digital Playground, Reality Kings, Mofos, Twistys) sono state acquistate. Da chi? Da MindGeek, che domande. Lavorano con pagamenti risicati, mentre il guadagno va quasi tutto “ai piani alti”.
Anche le case di produzione che hanno mantenuto la loro indipendenza non possono esimersi dal lavorare con MindGeek, perché senza i vari YouPorn, PornHub, RedTube eccetera la loro visibilità quasi non esiste; ma con i vari YouPorn, PornHub, RedTube eccetera il profitto è misero.
E’ come se Walmart, nelle cittadine americane, oltre a sottoporre a una concorrenza durissima i piccoli esercizi commerciali a gestione familiare, tanto a costringerli in breve alla chiusura, poi decidesse anche di comprarseli e di farli lavorare per loro.
Paragone della pornoattrice, produttrice e regista Siri
Inoltre, trattandosi di aziende di piccole-medie dimensioni, le società produttrici non hanno le possibilità economiche per mettere in piedi cause legali impegnative in modo da tutelare quei loro prodotti che, proprio come Bridgerton, vengono “aggregati” senza il loro permesso, mentre MindGeek ha mezzi in abbondanza (secondo il Financial Times, la multinazionale nel 2018 ha fatturato qualcosa come 460 milioni di dollari).
Esistono anche aggregatori onesti, che pagano regolarmente le royalties ai produttori e non caricano materiali piratati, ma non sono abbastanza grandi né abbastanza diffusi per fare la differenza. In più, sembra che MindGeek non investa quasi per nulla in risorse umane preposte a verificare che sui tube sites non finiscano video assolutamente illegali, come quelli contenenti abusi sui minori. Lo scorso dicembre, a causa di un articolo sul New York Times che affrontava proprio questo tema, Visa e Mastercard hanno ritirato i propri servizi da PornHub, costringendo la piattaforma a controlli più stretti sui video caricati da utenti non verificati, ma ciò non è ancora sufficiente ad eliminare il fenomeno.
Se il mercato dell’industria hot finisce per lavorare a budget sempre più ridotti, quali sono le conseguenze?
Presto detto: attori e attrici che “arrotondano” prostituendosi; ampliamento dei mercati di manodopera a basso costo, quindi paesi poveri in cui trovare persone costrette a girare film porno (spesso del genere più becero e umiliante) per guadagnare pochi soldi con cui sopravvivere; nei casi peggiori, schiavismo vero e proprio. Un mercato florido e regolamentato, invece, a prescindere dal giudizio morale che se ne possa dare, indirizzerebbe almeno in parte verso la libera scelta degli operatori del settore e verso una maggior equiparazione fra uomini e donne nella rappresentazione filmica, nei salari e nel pubblico (chi ha detto che la cinematografia erotica esplicita debba attrarre solo spettatori maschi? Anche le donne hanno diritto di esserne attratte o curiose, purché però non si vedano ritratte come schiave o ninfomani senza dignità).

Come si può tentare di mettere fino alla continua infrazione dei copyright?
Netflix, Amazon Prime o HBO sono, in definitiva, le aziende che meno risentono della porno-pirateria (difficile che lo spettatore interessato ai cinque minuti di scena hot su YouPorn sia lo stesso che sarebbe interessato alla saga dei Bridgerton nella sua completezza); sono in compenso quelle che hanno i mezzi economici e legali per opporvisi. Tecnicamente, è difficilissimo arrivare alla rimozione dei contenuti dai tube sites; proprio come è difficile arginare il fenomeno della pirateria in generale, fra nuovi server che sbucano in continuazione per lo scambio di file pesanti, e siti per la distribuzione pirata con sede in paesi poco propensi alla collaborazione internazionale. Ma un’azione decisa e di pubblica rilevanza (come è stato per l’articolo del New York Times che ha “risvegliato le coscienze” di Visa e Mastercard) dei più grandi network e streaming televisivi potrebbe forse indurre MindGeek a modificare i criteri e gli algoritmi con cui caricare i contenuti; il che non solo metterebbe fine alla continua infrazione dei copyright e al disagio degli interpreti, ma ridarebbe un po’ di fiato anche all’industria pornografica “sana”, limitando per quanto possibile le conseguenze summenzionate.
(Valentina Semprini)