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6 Gennaio 2021La follia di Nietzsche, un anniversario tra amore e follia
In pochi sanno che la follia che dannò gli ultimi anni della vita del celeberrimo filosofo, diede manifestazione di sé già nel suo soggiorno sabaudo.
Era il 3 gennaio 1889, quando Nietzsche uscì dal suo appartamento torinese in via Carlo Alberto al civico 6. Raggiunse la piazza vicina, superò il posteggio delle carrozze e fu attratto da una scena a cui assistette suo malgrado: un cocchiere stava frustando a sangue un vecchio cavallo. Travolto da un senso di pietà incontenibile, Nietzsche corse incontro all’animale, pianse e lo abbracciò cingendogli il collo.
In realtà le fonti, su questo episodio, divergono. C’è chi afferma che il cavallo fosse un’invenzione e che il filosofo avesse avuto un semplice attacco di follia al centro della piazza. Forse era uscito per andare all’edicola del suo padrone di casa, Davide Fino, o per acquistare la frutta deliziosa dal suo verduriere di fiducia.
In realtà non importa sapere se l’episodio sia avvenuto o meno, anche se ci piace immaginare un uomo, un genio del pensiero, che si commuove di fronte a un banale accadimento di quotidiana violenza. Di certo c’è solo che alla fine, la stanchezza di una vita intera aveva prevalso e lo aveva colto lì, al centro della città che aveva scelto come casa e in cui aveva scritto quello che sarebbe diventato un capolavoro della filosofia mondiale.
Nietzsche, l’amata Torino, Lombroso e lo spiritismo
Facciamo un passo indietro e vediamo come si giunse alla follia di Nietzsche. Il filosofo tedesco giunse a Torino nell’aprile del 1888. Fu amore a prima vista, se così possiamo dire, dato che Nietzsche era ormai cieco per tre quarti. La città sabauda divenne per lui il luogo ideale in cui scrivere il suo capolavoro Ecce Homo. Vi si poteva camminare senza incorrere nel pericolo di una buca, grazie alle strade ben lastricate. La luce era piacevole, la gente affabile e non c’era motivo di temere l’assalto dei truffatori come invece era accaduto a Nizza, città nella quale aveva soggiornato in precedenza.
Nelle sue Lettere da Torino (edite da Adelphi), Nietzsche descrisse l’ex capitale d’Italia come una città pulita, dai costi modici e in cui era possibile gustare un buon gelato all’aperto, seduto a un tavolino. Abitava a due passi dal celebre teatro Carignano: non si lasciò sfuggire né concerti e rassegne musicali, né le conoscenze che poteva fare in occasione di quegli eventi. Come il probabile incontro con il già notissimo antropologo criminale Cesare Lombroso, che come lui amava frequentare il teatro. Ci piacerebbe immaginare, magari in francese, un dialogo ipotetico tra i due grandi pensatori ottocenteschi, uno scambio di idee, di passioni e di interessi. Come quella per l’esoterismo, che sembra li accomunasse e li portasse ad assistere a sedute spiritiche.
A Torino, Nietzsche venne in contatto, diretto e non, con alcune tra le menti più brillanti dell’epoca, lì riunite per la qualità della vita e il livello dei fenomeni culturali che la vivacizzavano. Lombroso sviluppò nella ex capitale italiana le sue teorie sulla fisiognomica e la frenologia. De Amicis scrisse Cuore, destinato a diventare uno dei romanzi per ragazzi più noti di tutti i tempi. Alessandro Cruto inventò la lampada a incandescenza, prima ancora di Thomas Edison. In questo clima, qualche anno più tardi, si sarebbero gettate le basi della nascita dell’industria automobilistica e di quella cinematografica.
Di Torino, Nietzsche detestava solo l’afa, che lo spingeva ad andarsene per l’estate. Infatti, soffriva di feroci mal di testa con frequenti episodi di vomito. Dolori lancinanti lo piegavano e lo costringevano a letto per lunghi periodi di tempo. Era probabile soffrisse di una malattia nervosa di cui non si conosceva la causa, la stessa che, forse, aveva ucciso il padre ancora in giovane età: un trauma che generò un’ossessione costante nella vita del pensatore, che temeva di fare la stessa fine.
Ecce homo tra genio e follia
Dopo un soggiorno a Sils, in Svizzera, Nietzsche ritornò a Torino il 21 settembre. I colori autunnali, la luce soffusa e il clima mite lo convinsero, ancora più della prima volta, che essa fosse la sua città ideale: il luogo perfetto in cui scrivere il suo libro più importante.
Nonostante non parlasse l’italiano e non conoscesse nessuno, si adattò ai ritmi della città. Riprese le sue passeggiate, assaporò la fresca dolcezza del fiume e passò in rassegna le trattorie del centro. Scoprì l’arrosto di vitello e i grissini, ben contento del fatto che i prezzi non fossero esorbitanti. Del resto, viveva con una modesta pensione da ex docente universitario e i suoi lavori erano ancora lungi da essere apprezzati e conosciuti dagli ambienti accademici e non.
Eppure, Nietzsche cominciò presto a dare qualche segno di squilibrio mentale. Lentamente, i semi della follia germogliarono, dapprima in modo confuso nelle lunghe lettere che scriveva agli amici e agli editori. Le ragioni principali del suo peggioramento andrebbero cercate sia nelle sue precarie condizioni di salute, sia nella frustrazione covata per anni nei confronti di coloro i quali non avevano creduto nel suo genio rivoluzionario. La morte della metafisica, la necessità della nascita del Superuomo contro le logiche del gregge e delle Verità assolute imposte per controllare gli uomini, erano concetti difficile da accettare e metabolizzare in una società così radicata nella religione e, soprattutto, nella morale borghese. Non dobbiamo trascurare un particolare, inoltre: la stesura di Ecce Homo richiese un lavoro sovrumano. Il filosofo ci vedeva poco, aveva un fisico debilitato e lo studio “matto e disperatissimo” non favoriva affatto un miglioramento dello stato di salute. Anche dal punto di vista mentale.
Le lettere si fecero sempre più confuse, paranoiche e accusatorie. Per fortuna, Nietzsche riuscì a terminare Ecce Homo, prima che la follia lo divorasse del tutto, regalandoci quel capolavoro di pensiero filosofico che è quel testo.
Testo, tra l’altro, troppo frainteso e mal dibattuto, nel secolo successivo come anche oggi, nonostante il riconoscimento mondiale. Nietzsche era decisamente troppo avanti sui tempi, come spesso capita alle menti geniali.
(Laura Scaramozzino)