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Nel 45° anniversario della morte, l’attualità del personaggio e del pensiero di Pasolini sono più vivi che mai: con i cinema chiusi bloccato anche il ritorno di “Accattone“
Nella notte tra l’1 e il 2 novembre del 1975, muore Pier Paolo Pasolini, scrittore, poeta, autore e regista cinematografico e teatrale controverso. Tanto criticato quanto ammirato, di certo è ancora il simbolo dell’intellettuale impegnato che non lascia indifferenti. La sua opera e il suo vivere scatenano tutt’oggi accese discussioni che spaziano dalle tesi sociali e politiche a quelle più legate alla vita e ai controsensi di un personaggio che ha segnato il mondo culturale dell’Italia del Novecento.
Vita e opere di Pier Paolo Pasolini
I primi anni di Pasolini sono caratterizzati da una vita senza radici, in cui la famiglia segue il padre, ufficiale di carriera, nelle sue missioni. Gli anni dell’università sono i primi di residenza stabile, tra Bologna e il paese materno di Casarsa della Delizia, in Friuli. Ma la tregua dura pochi anni, perché nel gennaio 1950, per sfuggire allo scandalo provocato dalla pubblica denuncia della sua omosessualità, Pier Paolo Pasolini si stabilisce con la madre a Roma. Questo scandalo, però, segna il punto di partenza della vera produzione dello scrittore: la sua vita coincide proprio da allora con la sua fertile attività creativa, che lo vede sempre impegnato a testimoniare e a difendere la propria diversità di vita e vedute, fino alle estreme conseguenze: l’assassinio di cui è vittima tra il 1° e il 2 novembre del 1975 all’idroscalo di Ostia.
Chi era Pier Paolo Pasolini? Innanzitutto uno scrittore
Gli anni Cinquanta sono testimoni della sua vera affermazione letteraria: pubblica la prima raccolta di poesie in lingua, “Le ceneri di Gramsci”; fonda Officina, rivista della polemica anti-novecentesca; diventa co-direttore di Nuovi argomenti, la rivista fondata nel 1953 da Alberto Moravia. Pubblica “Ragazzi di vita”, che gli costa un processo per oscenità, e “Una vita violenta”. L’ispirazione di Pier Paolo Pasolini, insofferente ai limiti di un genere letterario, si orienta intanto verso il cinema, il teatro e il giornalismo (soprattutto dal 1973, con le collaborazioni con Il Corriere della sera, raccolte in “Scritti corsari”). Continua a scrivere romanzi, saggi di critica letteraria e opere narrative, fino all’incompiuto “Petrolio”, sintesi incandescente di tutti i temi cari allo scrittore.
L’opera omnia degli scritti di Pier Paolo Pasolini è, a ragion veduta, uno dei classici del secondo Novecento. Come D’Annunzio e Pirandello, Pasolini sperimenta tutti i mezzi di comunicazione del 20° secolo – romanzo e racconto, teatro e cinema, articoli di giornale, critica letteraria, saggi politici e la poesia – e ne fa un’esibizione di straordinaria retorica: piega lo strumento più caro all’arte oratoria per spiegare, convincere, insegnare alla gente e renderla partecipe delle passioni e delle ideologie che lo animano con furore. Stessa capacità, ma rivolta a temi differenti, la troviamo solo nel suo contemporaneo Calvino: nel panorama letterario dell’Italia repubblicana, il lettore si trova combattuto tra l’utopia, la trasparenza e la leggerezza di Calvino, e la tragica realtà di Pasolini, con la sua Patria di stracci e drammi, l’ossessione per il sottoproletariato e le identità che la massa assume.
Cinema: Il regista Pier Paolo Pasolini
È altrettanto importante parlare dell’opera di Pier Paolo Pasolini nel cinema. Inizia a lavorare come sceneggiatore e collabora, fra i tanti, con Mario Soldati, Federico Fellini e con Bernardo Bertolucci, poi si affranca e trasferisce nei suoi soggetti i frutti della sua ricerca (“Accattone” e “Mamma Roma”, per citarne solo due). Il linguaggio di Pasolini si modifica a ogni pellicola e approda finalmente a risultati più compiuti e originali nel 1964 con “Il Vangelo secondo Matteo”, in cui da regista riesce a unire in modo armonioso cinema, letteratura, pittura e musica, creando quel ‘cinema di poesia’ di cui egli è, in Italia, uno dei più convincenti teorici. Su questa linea, tra realismo visionario e impegno drammatico e linguistico, si muovono tutti i film che seguono, da “Edipo re”, “Teorema” e “Medea”, fino alla cosiddetta “Trilogia della vita” e all’ultimo film, postumo, “Salò o le 120 giornate di Sodoma”, metafora del potere e interpretazione provocatoria del libro omonimo del Marchese de Sade.
Pier Paolo Pasolini: Al cinema sarebbe tornato “Accattone” (DPCM permettendo)
Il 2 novembre era in programma nelle sale il ritorno di “Accattone”, lo straordinario film d’esordio alla regia di Pasolini, nella sua versione restaurata dalla Cineteca di Bologna. Il DPCM di alcuni giorni fa, causa Covid, ha però bloccato i cinema in tutta Italia e quindi salta anche il riorno di “Accattone”.
Pier Paolo Pasolini e l’Accattone: la trama
Vittorio, detto ‘Accattone’, è un delinquente che vive nella squallida periferia romana, dove viene mantenuto da una prostituta. Quando si innamora di una giovane donna, il ladruncolo decide di ravvedersi e vivere onestamente, ma per lui non sembra esserci possibilità di riscatto.
Proiettato alla 22ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia del 1961, “Accattone” travolge il cinema italiano con violenza innovatrice. Sottoproletari, prostitute e ladri di polli strappano alle star un lembo di schermo, ritagliandosi un posto nell’immaginario del Novecento.
A Venezia, il film di Pier Paolo Pasolini riceve dure contestazioni. Alla prima del film a Roma, un gruppo di giovani neofascisti cerca di impedire la proiezione, lanciando bottiglie d’inchiostro contro lo schermo, bombette di carta e finocchi tra il pubblico. La pellicola esce nelle sale il 22 novembre 1961, ma il film è bloccato in sede di censura dal sottosegretario al Ministero del Turismo e Spettacolo Renzo Helfer e ritirato da tutte le sale italiane. Nel 1962 è presentato al Festival Internazionale del cinema di Karlovy Vary (Cecoslovacchia) e vince il Primo premio per la regia.
Cinema e Pier Paolo Pasolini: Lo stile da “regista”
In questa pellicola, Pasolini insegue la sua idea di narrazione epica e tragica e crea un film che può essere considerato la trasposizione cinematografica dei suoi lavori letterari. È, infatti, metafora dell’Italia sottoproletaria che vive nelle periferie delle grandi città senza alcuna prospettiva di miglioramento per la propria condizione. La vita disonesta e la morte sono compagne fedeli di questa massa senza speranza.
La coerenza dell’opera di Pasolini si evidenzia anche nella scelta di utilizzare in massima parte attori non-professionisti, convinto che queste persone siano ‘rappresentabili’ solo da sé stesse, in quanto incontaminate e prive delle sovrastrutture imposte dalla società.
A uno stile registico semplice ma straordinariamente efficace si uniscono la splendida fotografia in bianco e nero di Tonino Delli Colli e la suggestiva colonna sonora costituita da brani di Johann Sebastian Bach, che contribuiscono a infondere un’evocativa tensione religiosa alla storia narrata.
Cinema: “In un futuro aprile”, il film-documentario su Pasolini
Sempre il 2 novembre sarebbe dovuto arrivare nelle sale anche “In un futuro aprile – Il giovane Pasolini”, documentario diretto da Francesco Costabile e Federico Savonitto, che ci guida in un viaggio alla scoperta degli anni giovanili di Pier Paolo Pasolini attraverso la voce di suo cugino, lo scrittore e poeta Nico Naldini.
Grazie ai ricordi di Naldini, scrittore e regista a sua volta, si ripercorre il periodo friulano dell’intellettuale: siamo negli anni ’40 e i due giovani condividono esperienze e passioni che influenzeranno le loro opere future.
I registi, oltre a colmare la lacuna rappresentata dagli anni friulani di Pasolini, hanno realizzato un interessante documentario sulla potenza della parola. Parola che ci offre il lucidissimo e attento novantenne Nico Naldini quando ripercorre quegli anni senza retorica nostalgica, ma con una vitalità rievocata con grande maestria. Parola di Pasolini, disposto sempre a raccontare se stesso e ciò che lo legava alle proprie opere; poeta che apre spazi di riflessione e confronto in ogni verso emblematico (come quello che dà il titolo al film). Non ultima, parola di una lingua affascinante, quella friulana, che anima tutto il film.
(Monia Rota)